l Tar del Lazio chiede una nuova pronuncia della Corte Costituzionale stressando l’ormai carattere strutturale della dilazione. Sarebbe violato il diritto alla «giusta retribuzione» che include anche l’esazione tempestiva delle somme maturate durante il rapporto di lavoro.
La Consulta dovrà nuovamente pronunciarsi sulla liceità dell’erogazione in forma dilazionata e rateizzata del trattamento di fine rapporto o di fine servizio per i dipendenti pubblici (liquidazione). Lo stabilisce l’ordinanza n. 06223 del 17 maggio 2022 con la quale il TAR del Lazio (sezione terza quater) ha rimesso alla Corte Costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 2, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’articolo 12, comma 7, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla 30 luglio 2010 n. 122, per sospetto contrasto con l’art. 36 Cost, in materia di giusta retribuzione.
Termini dilatati
Come noto dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge n. 147/2013), è divenuta operativa una nuova modalità di corresponsione dei Tfs e del Tfr in più importi a seconda dell’ammontare della prestazione al lordo delle trattenute fiscali. La misura, finalizzata al contenimento della spesa pubblica, riguarda tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compreso il personale degli enti pubblici non economici (parastato) non iscritto all’Inpdap.
In particolare il pagamento della seconda e la terza rata vengono poste in pagamento a distanza rispettivamente di dodici e ventiquattro mesi dalla corresponsione della prima rata il cui termine decorre, salvo l’inabilità o il decesso, decorsi 12/24 mesi dalla cessazione dal servizio.
La questione
Secondo il Tar del Lazio il dubbio di incompatibilità tra gli artt. 3, comma 2, del d.l. n. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, con l’art. 36 Cost. è alimentato dall’esame della giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, con particolare riguardo alla sentenza n. 159 del 25 giugno 2019, che, nel ritenere non fondate le eccezioni di incostituzionalità degli articoli sopra detti con particolare riguardo ai lavoratori che non hanno raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, ha ritenuto che «la disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata.
Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana».
La tempestività dell’erogazione
Secondo la giurisprudenza della Corte, le indennità di fine rapporto «costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita – appunto in funzione previdenziale – onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione» (sentenza n. 458/2005), ritenendosi, in sostanza, l’essenziale natura di retribuzione differita collegata a una concorrente funzione previdenziale (cfr. sentenza n. 438/2005). L’art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.
La retribuzione, pertanto, da una parte, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e, dall’altro, deve essere adeguata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., avendo a riguardo non solo alla entità della retribuzione, ma anche alla tempestività della sua corresponsione. È infatti evidente, secondo il TAR, che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente.
Anzi, proprio il carattere di retribuzione differita riconosciuta alle indennità di fine rapporto comporta la necessità che anche queste ultime debbano essere corrisposte tempestivamente e non possano essere diluite strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo del lavoro.
Ciò a maggior ragione, aggiunge il Tar, se si considera che, notoriamente, il lavoratore, sia pubblico che privato, specie se in età avanzata, in molti casi si propone – proprio attraverso l’integrale e immediata percezione di detto trattamento – di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti, magari da tempo.
Carattere strutturale
Il Tribunale, infine, ricorda che la Corte Costituzionale ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito, ma deve essere giustificato da una crisi contingente e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentenze n. 178 del 2015 e n.173 del 2016). La misura in questione, al contrario, pur legata a una situazione di crisi contingente non ha una durata prestabilita ma ha assunto un carattere strutturale.