«Il killer di Matteo è stato assolto. E adesso dobbiamo persino pagare tutte le spese per il processo. Nessuno ci risarcirà mai, né moralmente, né economicamente. La beffa nei confronti del mio ragazzo che è morto a trent’anni per servire lo Stato è completa. Mi vergogno di essere italiano». Fabio Demenego, padre del poliziotto romano ucciso il 4 ottobre del 2019 da Alejandro Augusto Meran nella Questura di Trieste insieme con il collega Pierluigi Rotta, non usa mezzi termini. Niente condanna al carcere per l’assassino del figlio, sollevato dalle responsabilità «per vizio totale di mente» e destinato a una Rems, una residenza sanitaria assistita per l’esecuzione delle misure di sicurezza che, al momento, nemmeno si trova: i posti sono tutti occupati.
Fabio che cosa ha provato l’altro giorno ascoltando la sentenza?
«Mentre il giudice pronunciava quella parola, assolto, una coltellata mi ha trafitto il cuore. Ho pensato di svenire. Mia moglie Monica, mio figlio Gianluca e io siamo rimasti impietriti, siamo usciti dall’aula e risaliti subito in auto alla volta di Roma. É stato il peggior viaggio della vita, dopo quello verso il Friuli per il funerale. L’orologio è tornato indietro di due anni e mezzo. Quanta rabbia, mi creda».
Ma non vi aspettavate minimamente l’assoluzione?
«No. Perché una sentenza del genere poteva essere emessa, forse, per un fatto più leggero. Non per un duplice brutale omicidio, quell’uomo ha sparato a sangue freddo e ha quasi ucciso anche altri poliziotti quella sera in Questura. Non c’è stata la giusta attenzione rispetto a un fatto e a una vicenda così importante. Questa pagina di non giustizia italiana, la definirei così, lascia l’amaro in bocca non solo a noi della famiglia, compresa la fidanzata di Matteo che è come una figlia adottiva, ma anche a tutte quelle donne e quegli uomini che indossano una divisa».
C’è stata un’alzata di scudi subito dopo la sentenza da parte dei sindacati di polizia e anche l’Usmia dei carabinieri ha chiesto di migliorare l’attuale sistema normativo per la gestione dei soggetti affetti da malattie mentali con una giusta prevenzione…
«Questa sentenza uccide per due volte Matteo e Pierluigi ma ammazza anche la passione di questi operatori. Assolto è come se il fatto non fosse mai accaduto. Mi chiedo con quale spirito agenti e carabinieri usciranno ora in servizio. Vede, Matteo, come tanti altri, aveva scelto questo mestiere. Per lui non era un posto fisso. Ha sempre voluto aiutare gli altri, era il suo sogno. L’altro giorno ci ha chiamati il Capo della Polizia, Lamberto Giannini. Era più deluso di noi, ha cercato di rincuorarci. Ma quanti altri Matteo e Pierluigi dovranno esserci perché le forze dell’ordine siano davvero tutelate? Quale prevenzione viene fatta? Ci hanno detto che per Meran non c’è nemmeno un posto libero nelle Rems e per questo lo stanno trattenendo in carcere. Insomma, ci sembra tutto un drammatico pastrocchio».
Meran è stato comunque giudicato socialmente pericoloso, non sarà libero…
«Questo è l’unico aspetto su cui sono stati tutti concordi. Ma, appunto, non ci fidiamo di questo sistema così farraginoso, che non prevede tutele efficaci o strumenti di prevenzione capaci di rendere inoffensivi certi soggetti. Come sarà curato Meran? Davvero c’è la garanzia che non tornerà a fare del male? Soprattutto non dimentichiamoci una cosa…».
Che cosa?
«Che la sentenza è avvenuta sulla base di una seconda perizia richiesta dalla Corte e affidata a un unico professionista. Mentre in precedenza c’era stata una perizia alla cui elaborazione hanno partecipato sei diversi esperti i quali avevano stabilito che Meran fosse parzialmente incapace di intendere e di volere e, quindi, processabile. Invece, si è presa una decisione così pesante sulla base di un solo parere. A mio avviso le conclusioni di più professionisti sono quantomeno meglio ponderate, meno affette da qualsiasi pregiudizio o condizionamento».
L’assoluzione tra l’altro prevede che non possiate nemmeno essere risarciti? È così?
«Sì. Se Meran fosse stato condannato, avremmo potuto almeno chiedere il rimborso delle spese legali. Ma nemmeno quello».
Posso chiederle quanto è costato, finora, un processo del genere alla famiglia di un poliziotto morto sul lavoro?
«Tra avvocati, periti di parte e perizie psichiatriche, senza contare i due anni di psicoterapia a cui ci stiamo sottoponendo perché ogni giorno il dolore si rinnova e non passa, più o meno abbiamo speso tra i 30 e i 35mila euro».
Lei ha scritto un post su Facebook. Dice non cercateci più. A chi si riferisce?
«Da quel 4 ottobre 2019 ho incontrato autorità, ministri, dirigenti, politici, tutti ci garantivano che si sarebbero spesi per quello che sembrava un esito scontato per l’omicidio di due agenti di polizia in servizio all’interno di una Questura. Ed ecco, invece, l’epilogo. Ora vogliamo essere lasciati in pace nel nostro dolore. Oggi (ieri, ndr) è la festa della mamma, ma qui nella nostra casa di Velletri non abbiamo da festeggiare».