Non servirà il ballottaggio, come si ipotizzava alla vigilia, per arrivare alla nomina del nuovo procuratore antimafia e antiterrorismo. Giovanni Melillo, 61 anni, di Foggia, capo di gabinetto di Andrea Orlando quando era ministro della Giustizia e attualmente capo della procura di Napoli, è la nuova guida della Direzione nazionale antimafia (Dna). Lo ha nominato a maggioranza assoluta dei votanti, con 13 voti, il plenum del Consiglio superiore della magistratura.
Sconfitto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che era il suo diretto concorrente e ha ricevuto sette voti, mentre in cinque si sono espressi per il procuratore aggiunto della Dna Giovanni Russo (l’attuale reggente dell’ufficio). Melillo – iscritto alla corrente progressista di Area – prende il posto di Federico Cafiero De Raho, in pensione dal febbraio scorso. Era dato per favorito nonostante avesse ottenuto una sola preferenza nel voto in Quinta Commissione – competente sull’assegnazione degli incarichi direttivi – contro le due a testa di Gratteri e Russo. Il procuratore di Napoli in passato ha già lavorato a lungo alla Procura nazionale Antimafia: inoltre è stato sostituto procuratore nel capoluogo campano, poi è stato nominato aggiunto e quindi capo. Nel suo curriculum anche una parentesi all’ufficio giuridico del Quirinale.
Gratteri, magistrato in prima linea da anni contro la ‘ndrangheta, era l’unico che poteva contendergli la poltrona, ma non è andato oltre i sette voti di cui era accreditato alla vigilia. In suo favore, durante il dibattito in plenum, si sono espressi con accorati interventi i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo.
L’ex pm del processo Trattativa ha ricordato che la nomina del procuratore Antimafia è “una scelta di politica giudiziaria alta, che non deve essere condizionata da giochi di potere di nessun tipo, nè da calcoli opportunistici”, evidenziando la “maggiore e più spiccata idoneità allo scopo del procuratore Gratteri, il più idoneo a dare rinnovato slancio alla Dna. Si tratta di uno dei magistrati più esposti al rischio”, ha sottolineato di Matteo, “sono state acquisiste notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto. In questa situazione una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura del dottor Gratteri e non verrebbe compresa da quella parte di opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto”.
“Dobbiamo avvertire la responsabilità” , ha avvertito Di Matteo, “di non cadere negli errori che in passato, troppe volte, hanno tragicamente marchiato le scelte del Csm in tema di lotta alla mafia e che in certi casi hanno creato quelle condizioni di isolamento istituzionale che hanno costituito il terreno più fertile per omicidi e stragi”.
Il riferimento ovvio è al voto con cui, nel 1988, lo stesso plenum preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone per succedere ad Antonino Caponnetto nel ruolo di consigliere istruttore della Procura di Palermo. Il consigliere Ardita ha ribadito il concetto: “È come se la storia non ci avesse insegnato nulla. La tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento. L’esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia”, ha detto nel proprio intervento.
A citare – in questo caso in modo esplicito – Giovanni Falcone, ideatore dell’attuale Dna, è anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia nel formulare le congratulazioni al nuovo procuratore: “A trent’anni dalla stagione delle stragi, va ora a Melillo l’alto compito di continuare a proiettare nelle sfide attuali le idee innovatrici di Giovanni Falcone, che progettò una struttura capace di costante rinnovamento e sempre più ampia cooperazione”.
Per il procuratore di Napoli hanno votato, come previsto, i cinque consiglieri di Area (la corrente di sinistra dell’Anm), i due professori indicati dal M5S Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati e Michele Cerabona, avvocato napoletano e consigliere laico in quota Forza Italia. Al procuratore di Napoli sono andate anche le preferenze dei consiglieri di Unicost (la corrente di centro) e quelle dei due capi della Cassazione – il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi – come comunicato nel dibattito. Per Gratteri, oltre a Di Matteo e Ardita, si sono espressi gli altri due togati di Autonomia&Indipendenza Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, i laici in quota lega Stefano Cavanna ed Emanuele Basile, nonché Fulvio Gigliotti, altro laico in quota M5S. A Russo sono andati i voti dei togati di Magistratura indipendente e quello di Alessio Lanzi, altro laico in quota Forza Italia.