Anello con diamante consegnato in caserma poi sparito: Carabiniere condannato a quattro anni per peculato

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Carabiniere condannato a quattro anni per peculato – Smarrito, ritrovato e poi di nuovo sparito, il destino del diamante è avvolto nel mistero. L’ultimo avvistamento noto è la caserma dei carabinieri, dove una donna afferma di averlo consegnato dopo averlo trovato per strada. Tuttavia, anche questo punto è incerto, poiché non vi è certezza scientifica che si trattasse realmente di un diamante, e la difesa del carabiniere contesta la veridicità del racconto della donna. La situazione si complica ulteriormente con il ritrovamento di ricerche su Internet riguardanti “anello” sul telefono del militare, che egli attribuisce a un automatismo dei siti visitati.

Carabiniere condannato a quattro anni

Il processo sta assumendo i contorni di un “giallo” poliziesco, ambientato proprio nei locali di una forza dell’ordine. Si è concluso con una sentenza di condanna: 4 anni di carcere per peculato e una confisca di 40.000 euro. Questo tipo di condanna è raro per i carabinieri e solitamente riguarda fatti molto gravi, riflettendo la gravità della lesione alla fiducia dei cittadini nell’Arma.

Il carabiniere condannato attribuisce la sentenza a un pregiudizio sfavorevole, richiamando un precedente caso simile (a Monza, uno zaino invece di un anello) in cui era coinvolto, dove un oggetto consegnatogli e restituito al proprietario risultava mancante di contanti. La difesa sostiene che questo evento, ancora in Cassazione, abbia influenzato negativamente i giudici odierni, mentre l’accusa lo considera un indizio importante nel caso del diamante sparito.

La vicenda

La vicenda inizia nel gennaio 2022, in piena epoca Covid, quando una donna, ex dipendente di pubbliche amministrazioni, porta un anello trovato per strada a un orefice di fiducia. Secondo la donna, l’orefice aveva stimato che la pietra sull’anello fosse un diamante di valore compreso tra 35.000 e 50.000 euro, sebbene necessitasse di una perizia più accurata. L’orefice, durante la deposizione, è più vago, affermando di aver fatto solo una valutazione ipotetica.

Convinta da un prete, la donna decide di consegnare l’anello ai carabinieri della stazione Porta Magenta, all’interno della caserma Montebello di via Vincenzo Monti. Secondo il suo racconto, un militare, che non riesce a descrivere perché indossava una mascherina, prende in carico l’anello e fotografa la sua carta d’identità, senza rilasciarle un verbale o una ricevuta.

Dopo alcuni giorni senza novità, la donna torna in caserma, dove viene trattata bruscamente e informata che nessuno la riconosce. Sporge quindi denuncia alla Procura, che conferma la sua presenza in caserma tramite turni di servizio e celle telefoniche.

Uno dei quattro carabinieri presenti ammette di aver parlato con la donna, ma solo per invitarla a portare l’anello all’Ufficio oggetti smarriti della Polizia Locale, una procedura scorretta poiché avrebbe dovuto redigere un verbale e consegnare l’anello personalmente. Sul suo telefono, viene trovata la foto del documento della donna e tracce di ricerche su come costruire un anello. Il carabiniere nega di averle fatte, sostenendo che possano essere state generate automaticamente dai siti visitati, come affermato dal suo avvocato, Gabriele Maria Vitiello.

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