Ricorre oggi il 27° anniversario dell’uccisione del sacerdote di Casal di Principe, assassinato dalla camorra per le sue denunce e il suo impegno antimafia
Sono le 7,25 del 19 marzo 1994. “Chi è don Peppe?”. “Sono io”. Cinque colpi di pistola. Risuonano nella sacrestia della chiesa di San Nicola a Casal di Principe.
Così muore don Peppe Diana. Appena 36 anni. Parroco, capo scout Agesci, impegnatissimo coi giovani, vicino concretamente alle persone più fragili, ai disabili, agli immigrati. Sacerdote fin nel più profondo, parlava chiaro, diretto. Non aveva paura di esporsi e di pronunciare il nome “camorra” e di accusare.
E i killer della camorra lo uccisero il giorno del suo onomastico, mentre coi paramenti sacri stava uscendo dalla sacrestia per celebrare la messa. Gli amici lo aspettavano per festeggiarlo, ma non li raggiunse mai.
Don Peppe fu tra i primi a capire le problematiche dell’immigrazione, aprendo la parrocchia agli sfruttati e alle vittime della prostituzione, un impegno bloccato dal piombo camorrista.
Tutto accadde nel silenzio.
Non stette in silenzio Augusto Di Meo amico di don Peppe.
Era andato in parrocchia per fargli gli auguri per l’onomastico e dargli l’appuntamento per offrirgli la colazione. Mentre usciva vide bene il killer Giuseppe Quadrano e non ebbe alcuna esitazione. Andò dai carabinieri raccontò tutto, contribuendo in maniera determinante all’individuazione e alla condanna di mandanti e esecutori.
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